Picaflor

era il nome del cavallo color cenere che aveva mio padre e per il suo genio non potevamo sellarlo o cavalcarlo, aveva la criniera e una lunga coda argentata. Era bello, alto, elegante, elegante. Sapeva di essere libero e di lasciarsi cavalcare solo da mio padre che, da buon baqueano e conoscitore di animali, li trattava con una delicatezza e un affetto che ci imponeva. Il suncho era ed è l'angolo di famiglia che più ci unisce ai fratelli. Quando mio padre ci ha portato in estate, mia madre non è andata, eravamo in cinque con lui. Mio padre era sempre di poche parole e voce sommessa. Mai un pianto, un rimprovero o un gesto incisivo. Non dava consigli né era molto espressivo nell'espressione dell'affetto. Era un uomo calmo e sereno. Nessuna finzione o confusione. Quando arrivammo al ranch, Isaías, Angelines e i loro dieci figli ci stavano aspettando, erano il caposquadra e la sua famiglia. Da quel momento, furono loro a prendersi cura di noi perché mio padre sellò il suo cavallo e si perse nel campo. È tornato all'ora di pranzo quando Angelines ha servito uno stufato fumante e fragrante. Ricco di vedere e mangiare, con mais, zucche, patate dolci e un pollo, quando non era un bambino o costolette di manzo, la fonte era davvero una natura morta, una natura morta pantagruélico. Dopo pranzo, avrebbe fatto un pisolino mentre suonavamo molto vicino alla casa sotto gli alberi. Ha sellato di nuovo il cavallo, che stava saltando di gioia ed è uscito di nuovo per fare il suo giro. Il campo ha questo, ha sempre bisogno di una revisione e mio padre aveva bisogno di riconnettersi con lui, con la sua infanzia e con la fresca emozione che solo il campo silenzioso e luminoso gli ha dato.

Picaflor se llamaba el caballo color ceniza que tenía mi padre y que por lo brioso nosotros no podíamos ensillarlo ni montarlo.Tenía unos crines y una cola larga de color plateado. Era hermoso, alto, estilizado, elegante. Se sabía libre y se dejaba montar sólo por mi padre que como buen baqueano y conocedor de los animales, los trataba con una delicadeza y un cariño que a nosotros  nos imponía. El suncho fue y es el rincón familiar que más nos une a los hermanos. Cuando mi padre nos llevaba en verano, mi madre no iba, éramos los cinco con él. Mi padre fue siempre de pocas palabras y de voz suave. Jamás un grito ni un reproche ni un gesto incisivo. No daba consejos ni era muy expresivo en la manifestación del cariño. Era un hombre campero y sereno. Sin pretensiones ni  aspavientos. Cuando llegábamos  a la estancia, nos esperaban Isaías , Angelines y sus diez hijos, eran el capataz y su familia. Desde ese momento, ellos eran los que nos atendían porque mi padre ensillaba su caballo y se perdía en el campo. Volvía a la hora del almuerzo momento en el que Angelines servía un puchero humeante y oloroso. Rico de verlo y de comerlo, con choclos calabazas, batatas y una gallina, cuando no era cabrito o costillas de ternera, realmente la fuente era una naturaleza muerta, un bodegón pantagruélico. Después de la comida, dormía una corta siesta mientras nosotros jugábamos muy cerca de la casa debajo de los árboles. Volvía a ensillar al caballo que daba brincos de alegría y salía nuevamente a hacer su ronda. El campo tiene eso, siempre necesita un repaso y mi padre necesitaba reencontrarse con él, con su infancia y con la emoción fresca que sólo el campo callado y luminoso le regalaba.